Oggi ho reindossato la corazza del manager.
Sospesa nel periodo estivo per evidenti ragioni di termoregolazione, a settembre viene sempre il giorno che "devi" riprenderla. Era oggi.
Ed allora, eccomi li' con la camicia azzurra d'ordinanza, pantalone grigio e blazer blu, scarpe inglesi e calzino lungo.
Ma soprattutto c'e' lei, l'elemento più importante di questa corazza: la cravatta.
Ogni manager brandisce quest'arma con differente disinvoltura: chi l'abbina alla camicia, chi la mette in contrasto, chi la mette in nouance e chi l'abbina - elegantone - ailla tinta dei calzini.
Ma tutti, indistintamente, vi si affidano, se ne fanno schermo, la usano come supporto all'autostima. Una sorta di membro virtuale, insomma (anche se nessuno di noi lo ammettera' mai), da mostrare impudicamente all'avversario di turno.
Ma oggi, come anche l'anno passato, la corazza non mi ha fornito sicurezza o eleganza. Non mi ha descritto il mio status symbol, ne' e' stata alla base della mia sicurezza. Anzi, se devo dirla tutta, mi ci sono sentito rinchiuso, impacciato, legato. Ridicolo, in parte. Vecchio, del tutto.
Incomincio a credere che sia arrivato il momento. Per lasciarla. Almeno qualche giorno la settimana.
Non la cravatta: la corazza.
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2 commenti:
Ci sono corazze più dure per i manager: quelle dell'indifferenza.
Quelle che ti spingono a non salutare le persone, a sentirti "più" degli altri: più forte, più intelligente, più importante.
Quelle corazze non le togli nemmeno se togli la cravatta.
Tu non sembri averla a me che non sono un tuo collaboratore. Spero sia così...
La corazza di cui parlo io è percepita come sicurezza solo dal manager.
Poco ha a che vedere con il modo in cui si rapporta con gli altri: più che altro se ne difende.
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