mercoledì 29 luglio 2009

Andrea Vitali - La modista


Avete presente Bellano, cittadina affacciata sulla sponda del lago dalla parte Lecchese? Potete immaginare un microcosmo che vive e pulsa autosufficiente negli anni del primo dopoguerra, quando ancora non si parlava di globalità ma solo di ricostruzione? Riuscite ad immaginare un paese con il suo sindaco, il suo parroco, il suo farmacista, il suo brigadiere dei Carabinieri, il suo messo comunale... tutta una serie di umanità che chiunque abbia abitato in un paese ben conosce.

Andrea Vitali descrive magistralmente questo microcosmo Bellanese, portando al lettore la classica storia che raccontava anche il nonno, ma orchestrata come un soft-triller di ben altro respiro.

Tutti i personaggi del Vitali sono perfettamente definiti; anche quelli più marginali vengono tratteggiati con attenzione, al punto che ti pare di conoscerli come conosceresti quelli del tuo paese: qualcuno meglio, qualcuno meno bene, qualcuno per fama e qualcuno per dicerie...

Ed è questa la forza di Vitali: tu nei suoi racconti ci sei dentro, li vivi non come se ne fossi il personaggio principale, ma come osservatore, un avventore del Caffè dell'Imbarcadero che al bar segue gli ultimi sviluppi del pettegolezzo più in voga. Ti stuzzica la voglia di sapere, di intuire, di poter affermare 'ma va!?!' come anche 'ah, volevo ben dire, io!'.

Beh, 400 pagine in due sere; tutti capitoli di 2 massimo 3 pagine, ogni capitolo del libro è una 'spettegolata', e di capitolo in capitolo la storia scorre rapida ed avvincente.

Bello! Avevo già letto qualcosa di Vitali (Olive Comprese, La figlia del Podestà, Un amore di zittella), ma questo 'La modista' mi ha proprio soddisfatto.

Daria Bignardi - Non vi lascerò orfani


Prima di tutto, sì: è proprio quella Bignardi là. Ed è un librettino di poche pagine.
L'argomento è la Mamma, il rapporto con lei prima che morisse e come la figlia lo percepisce/ricorda poi, dopo l'infausto evento.
Tante riflessioni, basate su ricordi, su spezzoni di vita, non molto diverse da quelle che vi farebbe la vostra vicina di casa o la vostra collega di lavoro.
Viene da chiedersi se, invece che lei, l'avessi scritto - chessò - io, sarebbe stato pubblicato...
Si legge facile, è breve e scorre.
Se non avete più un nonno o uno zio che vi racconta come eravamo, può essere utile.
Assolutamente non indispensabile.

venerdì 17 luglio 2009

Carlos Ruis Zafon - Marina


Zafon ci ha abituati a libri difficili e bellissimi: memorabile 'L'Ombra del Vento', con il suo Cimitero dei Libri Perduti, che poi si ritrova anche ne 'Il gioco dell'Angelo'.
Ma ci ha anche abituati ad immergerci in una Barcellona amata, idealizzata, mitizzata: un appassionato amante della città catalana, tanto infervorato da contagiarci tutti con la sua passione.

Marina è uno scritto giovanile, che risale a qualche anno fa: Zafon stesso nella sua presentazione ammette di amare particolarmente questo libro; e proprio come ogni genitore, pur amando allo stesso modo tutti i suoi figli, ha una decisa e inconfessabile preferenza per uno di loro.

Dopo averlo letto, non saprei a chi fare i maggiori complimenti: all'autore che mi ha affascinato con delle descrizioni poetiche di altissimo pregio, o alla traduttrice che è stata parimenti bravissima a trasporre tali gemme anche nella nostra lingua, senza perderne la resa.

Una prosa con un elevato respiro narra un sogno: è una storia che affonda le radici nel primo dopoguerra, e si compie infine negli anni settanta, descrivendo una Barcellona magica e trasfigurata, dipinta come una bella donna. In questo sfondo acquarellato si muovono alcuni personaggi a tratti irreali, a tratti umanissimi, che fanno straordinarie esperienze di rapporti umani: passione, amicizia, lealtà, fiducia, vendetta, esaltazione...
Il sogno rischia di trasformarsi pian piano in incubo, con dei vaghi tratti di horror, ma proprio qui l'autore è splendido: Zafon non lascia mai che il lettore sia pervaso da una sensazione di sordo terrore, pur approfondendo descrizioni raccapriccianti, perchè - proprio come in un comune sogno - riesce a lasciarci la segreta intima certezza che tutto è terribile ma... 'finto', e che tra poco ci risveglieremo e tutto sarà sparito...

La storia è comunque piacevole, non ha cadute di ritmo, e senza usare nè sesso nè suspance riesce a tenere incollato il lettore fino alla fine; fine, una volta tanto, all'altezza delle aspettative.

Un gran bella esperienza.

lunedì 6 luglio 2009

Giorgio Faletti - Io sono Dio


Preceduto da un clangore di pubblicità, torna Faletti con la sua ultima fatica. In una intervista radiofonica qualche tempo fa l'autore stesso aveva affermato di essere tornato alle sue origini, al thriller puro di Io Uccido: questo è l'unico motivo per cui mi sono avvicinato al libro.
Io uccido è stato un gran debutto; Niente di vero tranne gli occhi ed il successivo lavoro ambientato tra gli indiani (non ricordo nemmeno il titolo...) invece non mi sono piaciuti molto, anzi per me l'autore era in caduta: tant'è vero che la penultima fatica, una raccolta di racconti, non l'ho neppure acquistata.
Dunque, solleticato da cotanta promessa, ho letto Io sono Dio: mi sono trovato in una storia che mescola Viet-Nam (con il trattino), follia, America, suspance, 11 settembre, amore, sesso, amicizia...
La storia che sta sullo sfondo dell'opera è molto bella, geniale in alcuni suoi tratti. Il tutto poi è sostenuto da un filo narrativo conduttore molto trainante: da pagina 200 (!) il libro letteralmente schizza via al lettore. Purtroppo da lì a poco dopo sembra essere schizzato via anche all'autore: ma andiamo per gradi.
Inizialmente vengono spese molte pagine per presentare le diverse figure le cui vite si intrecceranno nel romanzo: le descrizioni dei personaggi sono esaurienti, ma spesso la prosa è stucchevole, pleonastica, alcune volte fin pure banale, specie durante le descrizioni; si ha quasi la sensazione di trovarsi di fronte a un 'mandato a descrivere' definito contrattualmente, ma non supportato da un vero afflatum poetico.
Ho seriamente preso in considerazione un paio di volte di chiudere il libro e finirla lì...
Poi però ha continuato, e devo dire che - appunto dopo la pagina 200 - il libro vola, i dialoghi finalmente sono serrati, la trama si apre, non riesci più a staccare... insomma, quello che si chiede a un thriller di razza!
Però il romanzo, a mio modesto avviso, collassa troppo presto: l'avvenimento che fornisce la chiave di lettura di tutto l'intrigo (la cosiddetta 'agnitio') cade in mano al protagonista un po' troppo repentinamente, guastando il climax fino ad allora - onestamente - ben preparato. Sembra proprio che il libro sia stato chiuso di forza, anzi, di fretta (un'altro vincolo contrattuale?): le descrizioni latitano, le situazioni sono descritte troppo velocemente, i dettagli che fanno veramente "capire" la storia ed i suoi protagonisti vengono trattati solo sommariamente: in una parola, tutto il piacere di lettura del thriller viene - in quel momento - soffocato.
Poco aiutano a questo punto, sempre a mio parere, gli epiloghi separati per personaggio a chiusura del lavoro: ormai il pathos è rotto, la storia raccontata, l'intrigo svelato, il libro finito. (e - se devo dirla tutta - le situazioni sono... beh... scontate)

No, continuo a classificare anche questa opera di Faletti tra le sue produzioni minori: per l'annunciato rilancio occorre attendere ancora.

mercoledì 1 luglio 2009

Jeffery Deaver - I corpi lasciati indietro


Un Deaver senza Lyncoln, senza Amelia, ma senza nemmeno la Dance?
Sì, un libro senza i suoi personaggi seriali.
Brynn McKenzie è una poliziotta di provincia, una provincia in cui - al solito - non succede mai nulla di grave: scazzottate del sabato sera, sparatorie sghembe tra ubriachi malfermi sulle gambe, al massimo piccole bande di distillatori clandestini di droga...
Ma stavolta (lo direste?) Deaver è di parere opposto, e nel dimenticato quanto tranquillo paradiso sulle sponde del laghetto arrivano due killer professionisti, che senza alcun ritegno incominciano a uccidere degli insospettabili innocenti, ed a far sparire meticolosamente le loro tracce.
Ma Brynn è uno di quei personaggi amati da Deaver: donna, vita problematica quasi lasciata alle spalle, intelligente e determinata fino all'inverosimile. Insomma, non solo una donna molto più in gamba di parecchi uomini suoi colleghi: piuttosto la migliore che potresti volere, dura come l'acciaio e intelligente quanto una volpe.
Così succede che, per eccesso di fiducia nei propri mezzi, Brynn passa da cacciatrice di delinquenti a preda di un feroce killer.
Non vi dico se lei riuscirà a farcela: Deaver però ne approfitta per tentare di portare in superficie l'insicurezza e la fragilità che la nostra donna dura ha sotto la sua ruvida scorza (e dal mio punto di vista maschile penso ci sia riuscito, ma vorrei avere al riguardo anche un parere dal mondo femminile).
Fuoco d'artificio e consueta capriola 'deaveriana' verso il finale, ma con un epilogo che lascia in sospeso una domanda senza - a mio avviso - suggerire una vera e proiprio risposta (anche se una mia ideuzza, riguardo ad un certo 'ex' un po' pistolero, me la sarei anche fatta).
Thriller buono, senza dubbio.
Da consigliare.