giovedì 9 settembre 2010

La corazza del manager.

Oggi ho reindossato la corazza del manager.
Sospesa nel periodo estivo per evidenti ragioni di termoregolazione, a settembre viene sempre il giorno che "devi" riprenderla. Era oggi.
Ed allora, eccomi li' con la camicia azzurra d'ordinanza, pantalone grigio e blazer blu, scarpe inglesi e calzino lungo.
Ma soprattutto c'e' lei, l'elemento più importante di questa corazza: la cravatta.
Ogni manager brandisce quest'arma con differente disinvoltura: chi l'abbina alla camicia, chi la mette in contrasto, chi la mette in nouance e chi l'abbina - elegantone - ailla tinta dei calzini.
Ma tutti, indistintamente, vi si affidano, se ne fanno schermo, la usano come supporto all'autostima. Una sorta di membro virtuale, insomma (anche se nessuno di noi lo ammettera' mai), da mostrare impudicamente all'avversario di turno.

Ma oggi, come anche l'anno passato, la corazza non mi ha fornito sicurezza o eleganza. Non mi ha descritto il mio status symbol, ne' e' stata alla base della mia sicurezza. Anzi, se devo dirla tutta, mi ci sono sentito rinchiuso, impacciato, legato. Ridicolo, in parte. Vecchio, del tutto.

Incomincio a credere che sia arrivato il momento. Per lasciarla. Almeno qualche giorno la settimana.
Non la cravatta: la corazza.


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venerdì 3 settembre 2010

Immagine.


Un bicchiere di vino.

Passeggio di sera per Milano, la nostra Milano, ancora poco affollata dai pochi rientri di fine stagione.
L'aria serale è già un po' più frizzantina, da fine estate, ed i negozi del centro iniziano a concludere la fase dei saldi, presentando le nuove collezioni.
Poca gente per strada, per lo più ancora turisti, o junior manager già rientrati a presidiare un business del quale nulla interessa veramente alle loro Corporation.
Passeggiamo tranquilli, osservando l'isola pedonale di Via Dante, con il Castello illuminato alle nostre spalle e i bar ristoranti con i tavolini in strada. Non me li ricordavo a Milano, è davvero troppo tempo che non vengo qui.
Mentre osserviamo un palazzo dalla facciata sfacciatamente bianca ('L'hanno ripulito, guarda, sembra di gesso...'), un uomo un po' trasandato e carico di borse si avvicina camminando nel senso opposto.
Lo guardo di sottecchi, più che altro lo tengo d'occhio, non sono molto tranquillo, è troppo che non vengo qui, non so bene cosa aspettarmi dalla 'mia' Milano che non è più proprio così mia...
Sembra immerso nei suoi pensieri, cammina deciso come sapesse esattamente dove andare, e mi rilasso un po', tornando a guardare più la
via che non proprio lui.
"Buonasera!" ci dice improvvisamente "Scusate, buonasera."
Lo guardiamo: gli occhi non sono vacui, nè allucinati. I modi sono garbati, ed anche dignitosi. Non è un questuante, non lo sembra.
"Volevo chiedervi un favore..."
Lo osservo meglio, leggermente più rilassato: vuoi vedere che, a dispetto dell'aspetto, vuole proprio chiederci un'informazione stradale?
Mi giro verso di lui e lo fisso: penso di avere uno sguardo quasi benevolo, ma non ne sono proprio sicuro.
Lui allora ci dice:
"Signori, avete da darmi una moneta?"
Poi si affretta ad aggiungere, quasi in tono di scusa, quasi giustificandosi: "No, tranquilli, non ho fame! Solo mi serve una moneta, 50 centesimi.."
Gli rispondo, guardingo: "Ma a che ti servono?"
E lui, con la naturalezza più assoluta, tirando fuori da tasca una manciata di altre monetine, mi risponde serissimo: "Per un bicchiere di vino!"
Allibisco per l'impertinenza che mi spiazza, ma mi sciolgo a ridere, e cerco nel mio jeans una moneta per quell'uomo.
Trovo un euro, ed ancora con un sorriso incredulo paralizzato sulle mie labbra, glielo porgo.
"Grazie, mi avete salvato la serata!", e con mezzo sorriso se ne va, contando i suoi averi ormai sufficienti per quella notte.
Restiamo lì a guardarlo mentre si allontana, bianco con i suoi capelli neri arruffati e con il suo fagotto nero sulla spalla.
Siamo fermi immobili, come imbambolati, in piedi nella via: non riusciamo a cancellare dalle nostre bocche quel sorriso storto che quell'uomo ci ha lasciato. E nemmeno riusciamo a cancellare quel senso di leggerezza verso i problemi (quelli che noi pensiamo di avere) che lui ci ha lasciato nel cuore al prezzo di una sola moneta.
Lui invece se ne va: cammina deciso come sapesse esattamente dove andare.

giovedì 2 settembre 2010

La luna lo sa.

Dove eravamo rimasti? Ah, sì. Raffaella Masini ha portato brillantemente a conclusione l'affare di un misterioso mercante d'arte (Nudo foglie verdi e busto), durante il quale ha conosciuto a New York Phil Jackson. Con lui ha passato alcuni momenti potenzialmente speciali, anche se il loro breve rapporto è stato caratterizzato da reciproche posizioni sulla difensiva. Ora lei sta viaggiando in treno verso Venezia, per una breve vacanza. Anche Phil è atterrato a Roma, e con la sua Mercedes coupè nera si sta dirigendo verso la città lagunare...


Sabato pomeriggio, Lei

Il treno aveva sgroppato velocemente lungo la pianura padana, e finalmente stava arrivando a destinazione. Raffaella Masini guardava fuori dal finestrino il panorama che via via era andato modificandosi: ora presentava visibili tracce di boom industriale selvaggio, spesso lasciato senza riguardi al degrado del tempo. Malgradola tristezza che le appariva fuori dal vetro, Raffaella era lieta.
Venezia era vicina, e con la città si avvicinava anche il momento in cui l'avrebbe reincontrato.
Il treno ora singhiozzava, fermandosi di quando in quando a un segnale e ripartendo subito dopo: stavano per raggiungere la stazione di Venezia Santa Maria, e ora - se ci si impegnava - dai finestrini si poteva percepire anche la presenza del mare.
Il pensiero di Raffaella tornò ancora una volta a Phil, l'uomo di New York...

Da "Scrivere... per essere letti"
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